IL GAZZETTINO - PORDENONE, 2004
Cellina L'antica poesia ritrovata
Ciò che qui si trova rispetto ad altri luoghi, ovvero la dimensione incontaminata, la misura di un tempo che non è più il nostro, di un tempo ottocentesco, è l’esatto corrispondente di una poesia che si tutela nella sua difficoltà a essere compresa, a essere conosciuta per una lingua che è di un segmento di una comunità che nel nostro secolo ha avuto uno slancio grazie a Pier Paolo Pasolini. Egli, anche per la notorietà raggiunta in altri settori, ha ridato interesse e luce alla poesia in lingua friulana. E quindi da lì si risale all’indietro fino a questo poeta di Barcis, a Giuseppe Malattia della Vallata, che ha rappresentato con un sentimento purissimo i suoi luoghi e che ne ha coltivato una nostalgia infinita, insita nelle sue parole come una vera e propria malattia, così come il suo nome evoca. La sensazione, cioè, di non potersi separare da quei luoghi se non con profonda lacerazione; luoghi dove si era maturata una tradizione, una civiltà che è sempre sul punto di spegnersi.
Ecco, se altrove la civiltà contadina si è spenta , qui invece ne è rimasta più viva memoria, per la posizione defilata probabilmente, che diviene anche isolamento linguistico nella poesia di Malattia della Vallata e che serve a impedire la contaminazione di una civiltà come la nostra, che nell’espansione dei consumi tende a livellare tutto, a confondere tutto, a omologare tutto. E quindi il sospetto, la preoccupazione, già ai primi di questo secolo, di perdere valori: che è il timore di chi loda il passato perché vede che il presente è sempre più debole. Quindi la minaccia di una perdita di quei valori, una minaccia tradizionale che è in tutta la poesia, è diventata una minaccia reale.
C’è qualcosa di pascoliano nel difendere tenacemente i valori del mondo contadino e c’è una dimensione che non possiamo dire folklorica mai, neppure nella scelta della lingua dialettale, perché il sentimento di paura che le cose finiscano è un sentimento universale. Qui è applicato alla paura che finisca la bellezza, l’idillio di quei luoghi, che devono essere salvati con una forza e con una tensione formidabili, quelle appunto di chi alza delle barriere per impedire che i barbari occupino questi luoghi.
Ecco, nella poesia che noi leggiamo, nei versi dedicati alla vallata e alla sua bellezza, si sente rinascere il mito antico calato nella esperienza del mondo contemporaneo e contadino. Chi abita quei luoghi ha mantenuto gli stessi spiriti dei personaggi del mito, essendo però persona reale. La fusione tra vita reale, vita quotidiana, tempo quotidiano e tempo eterno del mito è una delle caratteristiche della poesia di Malattia della Vallata. E una nostalgia, un dolore, una malinconia, un rimpianto delle cose perdute, i piccoli sentimenti, una dimensione anche crepuscolare, sono il sentimento primario, il sentimento umile, quotidiano rispetto alla famiglia, all’amore, ai bambini, a tutto ciò che sente un uomo che non ha subìto il trauma del passaggio verso la modernità. E quindi, oggi che la modernità non è un valore assoluto, ma che zone di tempo immobile, di tempo sopravvissuto sono tenute in grande rilievo perché sono come riserve di civiltà perdute, oggi, grazie a questa sensibilità, leggere o rileggere le poesie di Giuseppe Malattia della Vallata, non è soltanto una scoperta, ma è una consolazione per la consapevolezza o la speranza compiuta che non tutto sia perduto e che in alcuni luoghi rimanga un tempo lento, un tempo antico, non di cose superate o visioni del mondo bigotte, bensì di sentimenti puri, primari, alti e nobili esattamente come il coro di montagna, la valle con il bellissimo lago e questo grande respiro della natura ci fanno ancora intendere, quando arriviamo a Barcis dopo essere passati per le città rumorose, essere arrivati qui in un luogo di pace e di serenità non sempre e non per sempre perdute.