Sale per l'ampia valle e si diffonde
Lento ed eterno il mormorio del fiume
Che passa. Al fondo d'una conca verde
Barcis riposa.
Un'aura mite, accarezzante allieta
La terra tutt'intorno. Arride il sole
In vetta del Camàru, ed in tra i faggi
Di monte Longa.
Intreccian nidi e cantano gli augelli
La mattutina poesia. Dai prati
feraci s'alza un coro arcanamente
strano di voci
ammaliatrici, e l'eco di propaga
qual sinfonia per cielo azzurro, immenso,
e per l'aprica terra popolata
di cedue piante,
d'abeti, faggi, larici e di fiori,
silvani e solitari ciclamini
e stelle alpine, così amate dalle
vergini pie.
O mia Vallata, tu sei bella come
L'antica Tempe in fiore; tu sei varia
E vasta e verde, orrida e precinta
D'alpestre vita.
Alto è il silenzio delle tue foreste
Quando la notte incombe. Radiosa
L'aurora circonfulge le inaccesse
vette del Raut.
Erte e scoscese sono le tue balze
Dove il camoscio vigila. Solenne
Come un delabro mostrasi al viatore
La Gleseata.
La Gleseata, col suo grande, informe
Masso proteso fra la terra e il cielo:
forse qui i mani dell'antico Cellis
pregano Iddio.
Grave è il fragore delle cerule acque
Che fuggon via e spumeggiano con rabbia
Eterna per le forre e per i meandri
della Molassa.
Bianca, imponente adergesi la diga
Dominatrice che sbarra il canale;
sfida superba del pensiero umano
alla materia!
Bella è la via scavata nella viva
Roccia dei monti dall'audace genio
Di Aristide Zenari e dalle braccia
Dei nostri figli.
O sole, o terra madre, ho come è dolce
Qui riposare e meditare! Al margo
Della sorgente del Busàt, io scordo
tutte le ansie,
tutti i tormenti del pensiero. All'ombra
viride e al rezzo dei tuoi monti, io fiso
sereno il guardo all'avvenire e sciolgo
l'inno alla vita!